Laos, la terra di un milione di elefanti

Il fascino di una cultura lontana

Il Lao Lao il liquore dei folli
La bevanda nazionale del Laos è un whisky a base di riso fermentato, dal sapore dolciastro, molto simile alla grappa. Questo famoso distillato si trova in tutto il paese, nei negozi, nelle botteghe turistiche, nei mercati e nei ristoranti. Il nome Lao-Lao è dato da due parole identiche, ma che si pronunciano diversamente. Una significa “alcol”, mentre l'altra “laotiano”, e si traduce come “whisky di riso laotiano”. La maggior parte del Lao Lao è prodotto in casa. Si inizia con la cottura a vapore del riso, che poi viene unito al lievito e all'acqua, e fatto fermentare per circa 20 giorni in vasi di argilla. Anche la distillazione avviene in maniera totalmente artigianale: grandi fusti di metallo vengono riscaldati su fiamma libera a una temperatura costante per un giorno intero. Quello che si ottiene è un liquore solitamente dal colore chiaro, con una gradazione che può variare dal 40 al 45% circa. Ogni villaggio ha una selezione del riso e metodi di distillazione diversi, che derivano dalle rispettive radici culturali, e fanno sì che il sapore risulti sempre un po’ diverso. A volte il whisky è chiaro, altre volte è più scuro, o con all’interno serpenti, gechi, scorpioni, insetti. Il Lao-Lao va bevuto in un solo sorso e la tradizione vuole che ne vengano serviti due bicchieri in occasione di cerimonie, banchetti, grandi feste e riunioni importanti.

Lo sticky rice e l'importanza dei legami
Se c’è una certezza culinaria in Laos è la semisfera di riso appiccicoso che accompagna sempre ogni piatto. L’immancabile sticky rice, che talvolta viene servito anche nei tipici contenitori cilindrici di bambù (i lao aep khao), è un alimento che ha un significato sia culturale che gastronomico. Noto anche come khao niew, o riso glutinoso, è più di un semplice contorno: è parte integrante dell'identità laotiana. La coltivazione ed il consumo di questo riso risalgono a centinaia di anni fa. La differenza dal riso a chicco lungo sta nel maggiore contenuto di amido, zuccheri, calorie e carboidrati, questi ultimi necessari per resistere alle lunghe giornate di duro lavoro nei campi. Questa composizione gli conferisce una consistenza appiccicosa e glutinosa quando viene cucinato, che lo rende perfetto per essere modellato in piccole palline. Lo sticky rice, non è semplice riso, ma un tradizionale simbolo di prosperità e unione. La sua coltivazione, dalla semina, alla raccolta e alla lavorazione, richiede l’unione di tutta la comunità in uno sforzo condiviso. Al di là dell’ambito culinario, lo sticky rice sottolinea l'importanza dei legami e delle relazioni. Infatti, proprio come la sua collosità lega i singoli chicchi di riso, il khao niew lega anche le etnie laotiane alle loro radici culturali.

Hot Pot, un’esperienza conviviale
Mentre ci trovavamo a Luang Prabang abbiamo cenato in un piccolo ristorante all’aperto sulla riva del Mekong, lontano dal centro città. Il piatto forte era una delle pietanze più rappresentative della cucina laotiana: l’hot pot, conosciuto in Laos come Sin Dat. Si tratta della fusione tra una grigliata e la cottura in brodo. La particolarità sta nella pentola usata: una sorta di cupola metallica con scanalature per la cottura della carne al centro e un bordo concavo pieno di brodo bollente, che viene poggiata su carboni ardenti. Ciascuno può cuocere e gustare una varietà di ingredienti freschi: verdure, noodles, carne, frutti di mare. Grazie a qualche consiglio da parte del nostro cameriere siamo riusciti a cuocere al meglio gli ingredienti, accompagnandoli ad alcune salse piccanti. L’hot pot ha origini antiche, risalenti alla dinastia Han in Cina, dove veniva utilizzato come metodo per riscaldare e cucinare il cibo durante i rigidi inverni. Con il tempo, questa pratica si è diffusa in tutta l’Asia, assumendo forme diverse a seconda del paese. Ciò di cui ci siamo resi conto mentre gustavamo il nostro Sin Dat, e guardavamo gli altri clienti godersi la loro cena, è che non si trattava solo di un piatto, ma di un’esperienza conviviale unica. Il rituale di cucinare insieme riflette la cultura laotiana della condivisione e dell’ospitalità. È molto comune vederlo condiviso tra amici e familiari nelle occasioni speciali. Seppure l'hot pot ha origini cinesi e thailandesi, in Laos si è evoluto in una versione unica che lo rende un piatto distintivo e molto amato nel paese, sia dai locali che dai turisti.

Il Sinh, la tradizionale gonna longuette
Il Sinh è un indumento iconico della cultura laotiana. Fin dal nostro arrivo ci è capitato di vederla indossata dalle gentili signorine in aeroporto, dalle giovani ragazze che camminavano per strada, dalle anziane signore che popolavano i mercati. Tra gli abiti tradizionali laotiani più indossati, questo capo, spesso fatto a mano e realizzato in seta o cotone, ha una storia affascinante. Il Sinh è una gonna tubolare avvolgente, solitamente lunga fino alle caviglie o appena sotto le ginocchia, decorata con motivi tradizionali. Si distingue per tre parti principali: la fascia superiore, Hua Sinh, spesso semplice e nascosta sotto la blusa; la parte centrale, Phuen Sinh, con motivi e disegni tessuti a mano; l'orlo inferiore, Tin Sinh, spesso realizzato con tecniche di tessitura elaborate, e solitamente ricco di dettagli e simboli culturali, che indicano la zona di provenienza della donna che indossa l’abito. La gonna è tradizionalmente realizzata, in seta, mentre nelle zone più rurali è confezionata in cotone intrecciato a mano. La produzione della seta, riconosciuta a livello mondiale di altissima qualità, svolge un ruolo centrale nell’artigianato laotiano. La storia della bachicoltura, mandata avanti con metodi tradizionali, ha oltre 1000 anni, e le tecniche della lavorazione e della filatura si tramandano di generazione in generazione. Anche per questo il Sinh rappresenta identità culturale e status sociale. Viene indossata quotidianamente dalle donne, ma esistono comunque versioni più elaborate per eventi speciali, cerimonie religiose e matrimoni. Il Sinh, non è una semplice gonna, ma un simbolo di tradizione e orgoglio nazionale, un capo unico che custodisce una storia nelle trame intrecciate del suo tessuto.

Il Betel per pulire i denti
Viaggiando in Laos o in altri paesi del sud-est asiatico vi potrà capitare di incontrare in un piccolo villaggio o in zone periferiche di grandi città, anziani che sorridono mostrando labbra tinte di rosso e denti completamente neri. Potreste pensare che si tratti di una forte mancanza d’igiene, invece è l’abitudine a masticare (o meglio ‘ciccare’) un miscuglio a base di seme di palma di Betel. Un’abitudine praticata da una vasta parte della popolazione mondiale, che si concentra prevalentemente in Asia, per ragioni di natura culturale e sociale. Si suppone che la ‘cicca di betel’ sia una pratica originaria dell'arcipelago indonesiano, da cui poi si sarebbe diffusa nel resto dell’Asia. Lo stesso Marco Polo ne annotò l’uso mentre si trovava in India, ed un secolo dopo anche Vasco de Gama ne rimase colpito. Si crede che masticare questo miscuglio contribuisca alla salute della bocca, a calmare il mal di denti e a rafforzare le gengive. La pallottolina di betel viene formata dai semi della palma di betel, tagliati a fette sottili, e dalla calce calcarea delle montagne. A questi componenti si aggiungono acqua e spezie per il sapore, come cannella, coriandolo, cardamomo. Il miscuglio viene poi porzionato e avvolto nelle foglie di pepe di betel, fino ad ottenere una pallottolina che può essere tenuta in bocca, fra denti e guancia, anche per delle ore. Nel masticare il boccone di betel, che non viene mai deglutito, la saliva, che assume il tipico colore rossastro, viene sputata. La ‘cicca di betel’ viene consumata per diverse ragioni. Il suo utilizzo conferisce buon umore e aiuta a non sentire troppo la fame e la stanchezza quando si lavora nei campi, inoltre si ritiene che abbia proprietà antisettiche e che favorisca la digestione. Quello della cicca di betel è soprattutto un rituale di coesione sociale, come da noi andare a prendere un caffè o fare un aperitivo: preparare la cicca è un rito che unisce le persone.

Il significato della cerimonia Tak Bat
Se vi trovate a Luang Prabang non potete perdervi la cerimonia Tak Bat, senza dubbio il rituale più affascinante a cui assistere in Laos. Le origini della cerimonia dell'elemosina risalgono all'inizio del XIV secolo, quando la città di Luang Prabang, all’epoca capitale del Regno di Lan Xang (il primo grande Stato laotiano), ha abbracciato il buddismo Theravada. E qui tra il glorioso passato religioso, dimostrato dall’abbondanza di templi, sopravvive ancora oggi questo simbolico rituale. La cerimonia Tak Bat, nota anche come Sai Bat, è una delle usanze culturali che si svolge ogni giorno invariata fin dai tempi antichi. Ogni mattina, all'alba, file di monaci vestiti con le loro tuniche color zafferano escono dai templi, con appese alle spalle ciotole di metallo, e camminano scalzi per le strade della città raccogliendo le offerte. Anche chi fa l'elemosina si alza presto, per preparare loro i pasti. Al ritmico suono dei tamburi, che precedono il passaggio dei monaci, gli elemosinieri prendono posto inginocchiandosi sul ciglio della strada. E mentre i monaci sfilano uno dopo l’altro i devoti lasciano cadere il cibo nelle ciotole, solitamente il famoso riso appiccicoso, ma talvolta anche frutta fresca o caramelle. Tutto si svolge nel più completo silenzio, perché i monaci hanno fatto voto di praticare la meditazione camminando. Ostacolare in alcun modo il loro passaggio per le strade viene ritenuto irrispettoso, perciò anche chi riempie le loro ciotole rimane in silenzio in segno di rispetto. Al ritorno dalla cerimonia, il riso raccolto viene condiviso con gli altri monaci che sono rimasti nei templi. Questa cerimonia ha una grande importanza per il popolo laotiano. Durante il Tak Bat la comunità dei monaci e la comunità laica si congiungono: l’una si occupa del benessere spirituale, l’altra del supporto materiale. Parlare infatti di semplice elemosina, o di una forma di carità, sarebbe riduttivo. Il rituale è significativo sia per i monaci, che nel raccogliere le elemosine rispettano i loro voti, sia per la comunità che considera il dono una forma di purificazione dell'anima. Donare ai monaci insegna il valore di servire la collettività, e l'importanza di sapersi separare dai beni materiali nella vita quotidiana. La cerimonia è un'esperienza solenne e meditativa anche per chi vi assiste. Per apprezzare la bellezza di questo rituale è essenziale mostrare rispetto, riconoscendone il profondo significato spirituale che la cerimonia ha per chi vi partecipa.

Le celebrazioni del Pi Mai Lao
‘Sabaidee Pi Mai Lao!’ – ‘Auguri di buon anno!’– è il saluto che accompagna la festa più significativa per il popolo laotiano: il capodanno. Una celebrazione particolarmente attesa perché molte persone si spostano, attraversando il paese, per visitare le loro famiglie. Ricade all'apice della stagione estiva nella metà di aprile, dal 14 al 16, anche se in alcune località i festeggiamenti possono durare qualche giorno in più. È una festa davvero entusiasmante da vivere, ogni giorno ha un significato diverso e porta con sé tradizioni uniche e affascinanti. Ciò che guida i festeggiamenti e i rituali di questi tre giorni è incentrato sulle buone azioni, sui fiori e soprattutto sull'acqua. Il Sangkhan Luang è il primo giorno di festa e l'ultimo dell'anno vecchio. In questo giorno si preparano profumi, acqua e fiori per i giorni a venire. Nei templi di tutto il Paese, le statue del Buddha vengono tolte dai loro luoghi abituali e spostate in luoghi temporanei all'interno dei Wat (templi), in modo che le persone possano versarvi sopra acqua profumata. Quest’acqua, che scorre dalle statue del Buddha, viene poi raccolta dagli abitanti che la portano a casa per versarla su familiari, amici e parenti. Questo rituale serve a benedire, pulire e purificare i propri cari prima di entrare nel nuovo anno laotiano. Vedere con quanta devozione e cura vengono bagnate le statue del Buddha, con quanta spiritualità viene compiuto ogni gesto, trasmette tutto il valore di questa celebrazione anche in chi osserva. Il Sangkhan Nao, il secondo giorno della festa è il “giorno del non giorno”, un giorno che non fa parte né dell'anno vecchio né di quello nuovo. I giovani vengono incoraggiati a pulire le loro case, ad andare a versare dell’acqua sugli anziani del villaggio come augurio, e infine a divertirsi e a bagnarsi loro stessi. Si crede che pulendo, le cose cattive vengano mandate via con l'anno vecchio. Gli anziani consigliano, inoltre, ai giovani di evitare di dormire il secondo giorno, perché si ritiene che così facendo non si ammalino nell'anno successivo. Il terzo giorno, il Sangkhan Kheun Pi Mai, è l'ultimo giorno della festa e segna l'inizio del nuovo anno. Gli abitanti si vestono con abiti di seta e fanno offerte al tempio. Molte famiglie organizzano cerimonie nelle loro case per dare il benvenuto al nuovo anno laotiano e per augurare agli anziani buona salute e lunga vita. È il momento per i giovani di chiedere rispettosamente agli anziani la loro benedizione e il perdono per eventuali comportamenti sbagliati dell'anno passato, ed ottenere fortuna e prosperità per l’anno appena iniziato. Nel tardo pomeriggio tutte le statue del Buddha vengono riportate al loro posto abituale. La sera i devoti si recano ai templi per ascoltare i canti dei monaci e chiedere perdono ai monaci e alle statue del Buddha, perché potrebbero averli toccati accidentalmente nei giorni precedenti (dato che né i monaci né il Buddha devono essere toccati). Una suggestiva processione a lume di candela intorno ai templi segna la conclusione dei festeggiamenti per il Capodanno. Il Pi Mai Lao è celebrato in tutto il paese, ma a Luang Prabang, l'antica capitale reale e oggi patrimonio mondiale dell'UNESCO, le celebrazioni assumono un profondo valore culturale e possono durare anche sette giorni. Qui è conservata una delle reliquie religiose più sacre del Laos, la celebre statua dorata del Buddha, nota come Phra Bang, da cui la città prende il nome. Durante le celebrazioni per il Capodanno, la statua viene riposta sotto un padiglione temporaneo, e bagnata attraverso delle chiuse scolpite a forma di leggendari serpenti d'acqua. I festeggiamenti per il nuovo anno volgono al termine quando il Phra Bang fa ritorno al museo del Palazzo Reale.
I Phi della tradizione animista
Nell'ultimo giorno di viaggio, abbiamo salutato con affetto la nostra host sull’isola di Don Det: un'allegra signora con cui comunicavamo soprattutto a gesti e risate. Dopo averle consegnato le biciclette prese a noleggio, ci siamo trattenuti solo pochi minuti per ringraziarla e salutarla. Per lei, però, quel breve momento di congedo andava accompagnato da un gesto significativo. Sorridendoci, ha preso dei fili di cotone bianco e, mentre pronunciava parole a noi incomprensibili, li ha legati ai nostri polsi. Non ne avevamo idea, ma in quel momento stavamo prendendo parte al Baci Soukhouan, un antico rituale animista di benedizione e protezione. Nonostante il Buddhismo Theravāda sia la religione predominante, sotto la superficie di monasteri dorati e riti monastici, sopravvive in Laos un’antica tradizione animista. La credenza nella presenza degli spiriti, era una convinzione dominante tra le varie etnie laotiane, prima dell'arrivo del Buddhismo, ed è tuttora profondamente radicata nella cultura e nella vita quotidiana della popolazione. L'animismo in Laos è una visione del mondo in cui ogni cosa - dagli esseri viventi agli elementi naturali, fino agli oggetti inanimati - è dotata di un'anima o di uno spirito. Secondo questa credenza, la realtà è abitata da innumerevoli spiriti chiamati Phi, che influenzano la vita quotidiana delle persone. Questi spiriti possono essere benevoli o malevoli, per questo motivo gli abitanti cercano di guadagnarsi il loro favore attraverso rituali, offerte e cerimonie. L'animismo è particolarmente diffuso tra le minoranze etniche, come i Khmu, gli Hmong e i Katu. Diversi sono gli spiriti che rivestono particolare importanza nella visione animista laotiana, e ciascuno ha un proprio ruolo e una propria sfera d’influenza. Ad esempio si crede che i Phi Ban, gli spiriti del villaggio, siano spiriti protettori che garantiscono benessere e sicurezza. O ancora i Phi Thèan, gli spiriti degli antenati, si ritiene che continuino a vegliare sui loro discendenti, ma se trascurati, possono causare malattie o sfortune. Per questo motivo, molte famiglie praticano rituali regolari per onorarli, spesso in combinazione con cerimonie buddhiste. I Phi Pha si crede siano gli spiriti che abitano nella foresta, in alberi antichi, grotte, fiumi, montagne, cascate. Questi spiriti devono essere rispettati e mai disturbati. Potreste notare, vicino ai templi, alberi avvolti in tessuti colorati, ad indicare la loro sacralità. Oppure potreste accorgervi che in alcune cascate i laotiani evitano di immergersi, perché gli spiriti potrebbero considerarlo irrispettoso. Diversi sono i rituali per propiziarsi gli spiriti. Fra i più diffusi figura, appunto, il Baci Soukhouan, una cerimonia che si celebra in occasione di matrimoni, nascite, malattie o viaggi importanti, come nel nostro caso. Il rituale si basa sull'idea che ogni persona ha 32 spiriti protettori (khuan), che possono allontanarsi dal corpo, causando squilibrio o sfortuna. Durante il rito, un anziano o uno sciamano lega dei fili di cotone bianco ai polsi dei partecipanti per richiamare gli spiriti e augurare loro fortuna e protezione. Quei fili di cotone a cui, lì per lì, non avevamo dato un particolare significato, sono ancora ben legati ai nostri polsi. Al di fuori delle abitazioni ci è capitato di osservare, specialmente a Luang Prabang, delle piccole case colorate, le San Phra Phum, costruite per dare rifugio ai Phi, in modo che non disturbino gli umani. Nei secoli molte pratiche animiste sono state incorporate nel Buddhismo Theravada. Questa fusione tra animismo e Buddhismo ha creato un sistema di credenze che permette ai laotiani di onorare il Buddha, mantenendo però un legame profondo con la natura e gli spiriti. Ad esempio, è molto comune nei templi buddhisti vedere offerte per gli spiriti accanto alle statue del Buddha. Alcuni monaci sono anche considerati guaritori spirituali, capaci di interagire con gli spiriti attraverso preghiere e amuleti. Nonostante la modernizzazione, molti laotiani continuano a rispettare gli spiriti e a seguire le tradizioni animiste, dimostrando come queste credenze siano ancora vive e profondamente radicate nel tessuto sociale del paese. Ogni rituale animista racconta di un popolo che vive in armonia con il mondo invisibile che lo circonda, e questo è sicuramente uno degli aspetti che ci ha affascinato di più della cultura di questo paese.

Gli Sciamani, intermediari di un mondo invisibile
La figura dello sciamano è profondamente radicata nelle tradizioni animiste e ha un ruolo essenziale nella vita delle comunità locali, specialmente quelle rurali e delle isole. Lo sciamano, chiamato "Mor Phi" (maestro degli spiriti), è un intermediario tra il mondo umano e quello spirituale. Il suo compito principale è comunicare con gli spiriti, sia benevoli che malevoli, per mantenere l'equilibrio tra il mondo visibile e quello invisibile. Può essere indistintamente una donna o un uomo. Di solito eredita il suo ruolo da un parente oppure sono sogni, visioni o malattie inspiegabili che lo portano a sviluppare il suo potere. All’interno della comunità è una figura che svolge ancora diversi ruoli fondamentali. È un guaritore: usa erbe medicinali, rituali e invocazioni agli spiriti per curare malattie fisiche e spirituali. Nella visione animista si crede che molte malattie siano causate da spiriti offesi o da anime che si sono separate dal corpo. È un mediatore spirituale: comunica con gli spiriti degli antenati, della natura e delle divinità locali per ottenere protezione, fertilità per i campi e prosperità per il villaggio. Allo sciamano è affidato il compito di guidare cerimonie per scacciare spiriti maligni, benedire nuove case, proteggere i neonati o garantire un viaggio sicuro ai defunti verso l’aldilà. Viene, inoltre, consultato per predire il futuro, interpretare sogni ed avere consigli su decisioni importanti, come matrimoni, raccolti e viaggi. Ci sono alcuni strumenti sacri che gli sciamani usano per i loro rituali. I tamburi e i gong vengono usati per entrare in uno stato di trance e connettersi con il mondo degli spiriti. Fili di cotone e amuleti servono per legare l’anima al corpo e proteggerla dagli spiriti maligni (come nel Baci Soukhouan). Erbe e incensi hanno lo scopo di purificare l’aria e allontanare le energie negative. Per mantenere l’armonia con il mondo degli spiriti, in alcune cerimonie animiste, soprattutto tra le minoranze etniche, vengono ancora praticati sacrifici animali, per placare gli spiriti più potenti. Con la modernizzazione e l’influenza delle religioni organizzate, la figura dello sciamano sta lentamente scomparendo in alcune zone urbane, mentre nelle comunità rurali e tra le minoranze etniche rimane ancora fermamente centrale. Grazie anche al fatto che molti giovani laotiani stanno riscoprendo le tradizioni ancestrali, contribuendo a preservare questa parte fondamentale della cultura del paese.

Le code arricciate dei gatti asiatici 
In molti paesi dell’Asia, tra cui Laos, Thailandia, Vietnam, Indonesia e Giappone, vi capiterà di chiedervi come mai i gatti abbiano delle code molto corte, quasi mozzate, oppure leggermente arricciate. Ce lo siamo chiesti anche noi, ma non temete non si tratta di tagli o maltrattamenti, il perché di questa caratteristica, così singolare, ha piuttosto delle spiegazioni genetiche e culturali. La coda mozza è il risultato di una mutazione genetica spontanea che si è diffusa nelle popolazioni feline dell’Asia. Questa condizione è una caratteristica ereditaria che si tramanda di generazione in generazione. Le popolazioni feline isolate, come quelle delle isole del sud-est asiatico, hanno avuto meno variabilità genetica, facendo sì che questa mutazione diventasse più comune. Le prime popolazioni di gatti in Asia provenivano da un piccolo gruppo con la mutazione genetica naturale, che poi si è diffusa, grazie all'isolamento e agli incroci tra gatti randagi e domestici. Si ritiene che la coda mozza sia dovuta ad un adattamento ambientale, per ridurre il rischio di lesioni da parte di animali nelle giungle o dall’uomo in ambienti urbani. Ma oltre alla genetica, queste particolari code hanno anche un fascino mistico e simbolico in molti paesi asiatici. In Indonesia e Malesia si dice che i gatti con la coda arricciata abbiano poteri magici o siano in qualche modo legati agli spiriti. In Thailandia e Laos, alcuni credono che i gatti con la coda mozza portino prosperità e protezione alle famiglie, dei portafortuna a tutti gli effetti.

Il simbolismo del Geco Tokay 
Il suono che vi accompagnerà nei vostri viaggi in sud-est asiatico è quello inconfondibile del geco Tokay, uno dei rettili più affascinanti del pianeta. In Laos è conosciuto per il suo aspetto colorato, il suo verso distintivo e il suo significato nelle credenze popolari. La particolarità del Geco Tokay è una pelle grigio-bluastra con macchie arancioni o rosse, che nei maschi in accoppiamento diventano molto vivaci. Può raggiungere i 30-40 cm, il che lo rende uno dei gechi più grandi al mondo. Il suo richiamo, che suona come "To-kay, To-kay", da cui deriva il suo nome, riecheggia ovunque, poiché riesce facilmente a entrare dall’esterno, nascondendosi nelle fessure dei muri o delle porte. Proprio negli ultimi giorni del nostro viaggio abbiamo avuto la fortuna di osservarne uno da vicino. Tra il muro della stanza e il bagno, abbiamo visto i colori vivaci del geco risplendere alla luce delle torce. Spesso associato al soprannaturale, a seconda del contesto, il Geko può indicare buona o cattiva fortuna. Se un Tokay vive in casa, viene visto come protettore dagli spiriti maligni. In alcune zone del Laos, si crede che il suo verso ripetuto sette volte sia un buon segno e possa portare fortuna alla famiglia. Allo stesso modo però, se il geco canta sei volte o meno, si pensa possa portare sfortuna. Oppure, se un Tokay cade su una persona, è segno di malattia imminente o di un evento negativo. Nelle credenze animiste della cultura laotiana, il Tokay è visto come un animale legato agli spiriti della foresta. Si crede che il suo verso notturno possa avvisare della presenza di spiriti o entità invisibili. Parte della sua fama in Laos, ma anche nella medicina tradizionale cinese, è, inoltre, legata alle proprietà curative. Alcune parti del corpo vengono usate per trattare asma, diabete e soprattutto problemi di fertilità. Simbolo di mistero, fortuna e connessione con il mondo spirituale, il geco Tokay è molto più di un semplice rettile per il popolo laotiano. Il suo canto echeggia nelle case e nelle foreste, portando con sé antiche credenze che ancora oggi influenzano la vita quotidiana di molte persone in Laos.

Le mine disperse della guerra segreta
Uno tra gli stand che più ci ha colpito al Night Market di Luang Prabang è stato quello dei souvenir ricavati dal metallo delle bombe inesplose durante la guerra in Vietnam. Quando si pensa a questo conflitto, raramente il Laos è il primo paese che viene in mente. Eppure, nel sud-est asiatico è quello che ha subito l’impatto più devastante. Tra il 1964 e il 1973, gli Stati Uniti hanno sganciato circa 2,5 milioni di tonnellate di ordigni sul territorio laotiano, rendendolo il paese più bombardato del mondo. L’aviazione americana portò a termine delle operazioni mai dichiarate, chiamate "Operazione Barrel Roll", "Operazione Steel Tiger" e "Operazione Rolling Thunder". La guerra sconvolse la vita di gran parte della popolazione laotiana, soprattutto delle minoranze etniche che vivevano lungo i confini con Vietnam e Cambogia. L'obiettivo di queste operazioni, che facevano parte della strategia conosciuta come la "Guerra Segreta", era quello di colpire le rotte di rifornimento nord-vietnamite lungo il famoso Sentiero di Ho Chi Minh, che attraversava il Laos e la Cambogia. Si stima che, dei 270 milioni di bombe a grappolo lanciate sul Laos, almeno il 30% di esse non sia esploso, lasciando il suolo laotiano disseminato di ordigni inesplosi (UXO, Unexploded Ordnance). Dopo oltre 50 anni dalla fine del conflitto, queste bombe rappresentano ancora una minaccia mortale per la popolazione. Ogni anno, decine di persone restano ferite o uccise a causa delle UXO, spesso lavoratori nei campi o bambini che giocano nei villaggi rurali. La maggior parte degli incidenti è causata dalle bombe a grappolo, piccoli ordigni che si disperdevano in aria e che, una volta a terra, si confondevano con il terreno, rimanendo attive per decenni. Dal 1996, diverse organizzazioni internazionali e locali lavorano per individuare e disinnescare le mine inesplose. MAG (Mines Advisory Group) e UXO Lao sono tra le associazioni che operano nel paese per rendere sicure le aree più colpite e sensibilizzare le comunità locali. Ma il processo è lento e rischioso: si stima che ci vorranno oltre 100 anni per rendere il Laos completamente sicuro. Il problema delle mine è ancora una realtà drammatica, che influenza lo sviluppo agricolo ed economico del paese. Nonostante questa tragica eredità, negli anni, il turismo responsabile e le iniziative di sostegno alle vittime stanno aiutando a riportare la vita nelle zone più colpite. Visitare il COPE Visitor Center a Vientiane o il UXO Lao Information Centre a Luang Prabang è un modo per conoscere da vicino questa realtà e contribuire alla causa.
Il Laos è un paese ricco di cultura e tradizioni affascinanti. È impossibile non rimanere colpiti dall'atmosfera di spiritualità secolare e di credenze profonde che pervade ogni angolo di questo paese.
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