Il Lao Lao il liquore dei folli
La bevanda nazionale del Laos è un whisky a base di riso fermentato, dal sapore dolciastro, molto simile alla grappa. Questo famoso distillato si trova in tutto il paese, nei negozi, nelle botteghe turistiche, nei mercati e nei ristoranti. Il nome Lao-Lao è dato da due parole identiche, ma che si pronunciano diversamente. Una significa “alcol”, mentre l'altra “laotiano”, e si traduce come “whisky di riso laotiano”. La maggior parte del Lao Lao è prodotto in casa. Si inizia con la cottura a vapore del riso, che poi viene unito al lievito e all'acqua, e fatto fermentare per circa 20 giorni in vasi di argilla. Anche la distillazione avviene in maniera totalmente artigianale: grandi fusti di metallo vengono riscaldati su fiamma libera a una temperatura costante per un giorno intero. Quello che si ottiene è un liquore solitamente dal colore chiaro, con una gradazione che può variare dal 40 al 45% circa. Ogni villaggio ha una selezione del riso e metodi di distillazione diversi, che derivano dalle rispettive radici culturali, e fanno sì che il sapore risulti sempre un po’ diverso. A volte il whisky è chiaro, altre volte è più scuro, o con all’interno serpenti, gechi, scorpioni, insetti. Il Lao-Lao va bevuto in un solo sorso e la tradizione vuole che ne vengano serviti due bicchieri in occasione di cerimonie, banchetti, grandi feste e riunioni importanti.
Lo sticky rice e l'importanza dei legami
Se c’è una certezza culinaria in Laos è la semisfera di riso appiccicoso che accompagna sempre ogni piatto. L’immancabile sticky rice, che talvolta viene servito anche nei tipici contenitori cilindrici di bambù (i lao aep khao), è un alimento che ha un significato sia culturale che gastronomico. Noto anche come khao niew, o riso glutinoso, è più di un semplice contorno: è parte integrante dell'identità laotiana. La coltivazione ed il consumo di questo riso risalgono a centinaia di anni fa. La differenza dal riso a chicco lungo sta nel maggiore contenuto di amido, zuccheri, calorie e carboidrati, questi ultimi necessari per resistere alle lunghe giornate di duro lavoro nei campi. Questa composizione gli conferisce una consistenza appiccicosa e glutinosa quando viene cucinato, che lo rende perfetto per essere modellato in piccole palline. Lo sticky rice, non è semplice riso, ma un tradizionale simbolo di prosperità e unione. La sua coltivazione, dalla semina, alla raccolta e alla lavorazione, richiede l’unione di tutta la comunità in uno sforzo condiviso. Al di là dell’ambito culinario, lo sticky rice sottolinea l'importanza dei legami e delle relazioni. Infatti, proprio come la sua collosità lega i singoli chicchi di riso, il khao niew lega anche le etnie laotiane alle loro radici culturali.
Hot Pot, un’esperienza conviviale
Mentre ci trovavamo a Luang Prabang abbiamo cenato in un piccolo ristorante all’aperto sulla riva del Mekong, lontano dal centro città. Il piatto forte era una delle pietanze più rappresentative della cucina laotiana: l’hot pot, conosciuto in Laos come Sin Dat. Si tratta della fusione tra una grigliata e la cottura in brodo. La particolarità sta nella pentola usata: una sorta di cupola metallica con scanalature per la cottura della carne al centro e un bordo concavo pieno di brodo bollente, che viene poggiata su carboni ardenti. Ciascuno può cuocere e gustare una varietà di ingredienti freschi: verdure, noodles, carne, frutti di mare. Grazie a qualche consiglio da parte del nostro cameriere siamo riusciti a cuocere al meglio gli ingredienti, accompagnandoli ad alcune salse piccanti. L’hot pot ha origini antiche, risalenti alla dinastia Han in Cina, dove veniva utilizzato come metodo per riscaldare e cucinare il cibo durante i rigidi inverni. Con il tempo, questa pratica si è diffusa in tutta l’Asia, assumendo forme diverse a seconda del paese. Ciò di cui ci siamo resi conto mentre gustavamo il nostro Sin Dat, e guardavamo gli altri clienti godersi la loro cena, è che non si trattava solo di un piatto, ma di un’esperienza conviviale unica. Il rituale di cucinare insieme riflette la cultura laotiana della condivisione e dell’ospitalità. È molto comune vederlo condiviso tra amici e familiari nelle occasioni speciali. Seppure l'hot pot ha origini cinesi e thailandesi, in Laos si è evoluto in una versione unica che lo rende un piatto distintivo e molto amato nel paese, sia dai locali che dai turisti.
Il Sinh, la tradizionale gonna longuette
Il Sinh è un indumento iconico della cultura laotiana. Fin dal nostro arrivo ci è capitato di vederla indossata dalle gentili signorine in aeroporto, dalle giovani ragazze che camminavano per strada, dalle anziane signore che popolavano i mercati. Tra gli abiti tradizionali laotiani più indossati, questo capo, spesso fatto a mano e realizzato in seta o cotone, ha una storia affascinante. Il Sinh è una gonna tubolare avvolgente, solitamente lunga fino alle caviglie o appena sotto le ginocchia, decorata con motivi tradizionali. Si distingue per tre parti principali: la fascia superiore, Hua Sinh, spesso semplice e nascosta sotto la blusa; la parte centrale, Phuen Sinh, con motivi e disegni tessuti a mano; l'orlo inferiore, Tin Sinh, spesso realizzato con tecniche di tessitura elaborate, e solitamente ricco di dettagli e simboli culturali, che indicano la zona di provenienza della donna che indossa l’abito. La gonna è tradizionalmente realizzata, in seta, mentre nelle zone più rurali è confezionata in cotone intrecciato a mano. La produzione della seta, riconosciuta a livello mondiale di altissima qualità, svolge un ruolo centrale nell’artigianato laotiano. La storia della bachicoltura, mandata avanti con metodi tradizionali, ha oltre 1000 anni, e le tecniche della lavorazione e della filatura si tramandano di generazione in generazione. Anche per questo il Sinh rappresenta identità culturale e status sociale. Viene indossata quotidianamente dalle donne, ma esistono comunque versioni più elaborate per eventi speciali, cerimonie religiose e matrimoni. Il Sinh, non è una semplice gonna, ma un simbolo di tradizione e orgoglio nazionale, un capo unico che custodisce una storia nelle trame intrecciate del suo tessuto.
Il Betel per pulire i denti
Viaggiando in Laos o in altri paesi del sud-est asiatico vi potrà capitare di incontrare in un piccolo villaggio o in zone periferiche di grandi città, anziani che sorridono mostrando labbra tinte di rosso e denti completamente neri. Potreste pensare che si tratti di una forte mancanza d’igiene, invece è l’abitudine a masticare (o meglio ‘ciccare’) un miscuglio a base di seme di palma di Betel. Un’abitudine praticata da una vasta parte della popolazione mondiale, che si concentra prevalentemente in Asia, per ragioni di natura culturale e sociale. Si suppone che la ‘cicca di betel’ sia una pratica originaria dell'arcipelago indonesiano, da cui poi si sarebbe diffusa nel resto dell’Asia. Lo stesso Marco Polo ne annotò l’uso mentre si trovava in India, ed un secolo dopo anche Vasco de Gama ne rimase colpito. Si crede che masticare questo miscuglio contribuisca alla salute della bocca, a calmare il mal di denti e a rafforzare le gengive. La pallottolina di betel viene formata dai semi della palma di betel, tagliati a fette sottili, e dalla calce calcarea delle montagne. A questi componenti si aggiungono acqua e spezie per il sapore, come cannella, coriandolo, cardamomo. Il miscuglio viene poi porzionato e avvolto nelle foglie di pepe di betel, fino ad ottenere una pallottolina che può essere tenuta in bocca, fra denti e guancia, anche per delle ore. Nel masticare il boccone di betel, che non viene mai deglutito, la saliva, che assume il tipico colore rossastro, viene sputata. La ‘cicca di betel’ viene consumata per diverse ragioni. Il suo utilizzo conferisce buon umore e aiuta a non sentire troppo la fame e la stanchezza quando si lavora nei campi, inoltre si ritiene che abbia proprietà antisettiche e che favorisca la digestione. Quello della cicca di betel è soprattutto un rituale di coesione sociale, come da noi andare a prendere un caffè o fare un aperitivo: preparare la cicca è un rito che unisce le persone.
Il significato della cerimonia Tak Bat
Se vi trovate a Luang Prabang non potete perdervi la cerimonia Tak Bat, senza dubbio il rituale più affascinante a cui assistere in Laos. Le origini della cerimonia dell'elemosina risalgono all'inizio del XIV secolo, quando la città di Luang Prabang, all’epoca capitale del Regno di Lan Xang (il primo grande Stato laotiano), ha abbracciato il buddismo Theravada. E qui tra il glorioso passato religioso, dimostrato dall’abbondanza di templi, sopravvive ancora oggi questo simbolico rituale. La cerimonia Tak Bat, nota anche come Sai Bat, è una delle usanze culturali che si svolge ogni giorno invariata fin dai tempi antichi. Ogni mattina, all'alba, file di monaci vestiti con le loro tuniche color zafferano escono dai templi, con appese alle spalle ciotole di metallo, e camminano scalzi per le strade della città raccogliendo le offerte. Anche chi fa l'elemosina si alza presto, per preparare loro i pasti. Al ritmico suono dei tamburi, che precedono il passaggio dei monaci, gli elemosinieri prendono posto inginocchiandosi sul ciglio della strada. E mentre i monaci sfilano uno dopo l’altro i devoti lasciano cadere il cibo nelle ciotole, solitamente il famoso riso appiccicoso, ma talvolta anche frutta fresca o caramelle. Tutto si svolge nel più completo silenzio, perché i monaci hanno fatto voto di praticare la meditazione camminando. Ostacolare in alcun modo il loro passaggio per le strade viene ritenuto irrispettoso, perciò anche chi riempie le loro ciotole rimane in silenzio in segno di rispetto. Al ritorno dalla cerimonia, il riso raccolto viene condiviso con gli altri monaci che sono rimasti nei templi. Questa cerimonia ha una grande importanza per il popolo laotiano. Durante il Tak Bat la comunità dei monaci e la comunità laica si congiungono: l’una si occupa del benessere spirituale, l’altra del supporto materiale. Parlare infatti di semplice elemosina, o di una forma di carità, sarebbe riduttivo. Il rituale è significativo sia per i monaci, che nel raccogliere le elemosine rispettano i loro voti, sia per la comunità che considera il dono una forma di purificazione dell'anima. Donare ai monaci insegna il valore di servire la collettività, e l'importanza di sapersi separare dai beni materiali nella vita quotidiana. La cerimonia è un'esperienza solenne e meditativa anche per chi vi assiste. Per apprezzare la bellezza di questo rituale è essenziale mostrare rispetto, riconoscendone il profondo significato spirituale che la cerimonia ha per chi vi partecipa.
Le celebrazioni del Pi Mai Lao
‘Sabaidee Pi Mai Lao!’ – ‘Auguri di buon anno!’– è il saluto che accompagna la festa più significativa per il popolo laotiano: il capodanno. Una celebrazione particolarmente attesa perché molte persone si spostano, attraversando il paese, per visitare le loro famiglie. Ricade all'apice della stagione estiva nella metà di aprile, dal 14 al 16, anche se in alcune località i festeggiamenti possono durare qualche giorno in più. È una festa davvero entusiasmante da vivere, ogni giorno ha un significato diverso e porta con sé tradizioni uniche e affascinanti. Ciò che guida i festeggiamenti e i rituali di questi tre giorni è incentrato sulle buone azioni, sui fiori e soprattutto sull'acqua. Il Sangkhan Luang è il primo giorno di festa e l'ultimo dell'anno vecchio. In questo giorno si preparano profumi, acqua e fiori per i giorni a venire. Nei templi di tutto il Paese, le statue del Buddha vengono tolte dai loro luoghi abituali e spostate in luoghi temporanei all'interno dei Wat (templi), in modo che le persone possano versarvi sopra acqua profumata. Quest’acqua, che scorre dalle statue del Buddha, viene poi raccolta dagli abitanti che la portano a casa per versarla su familiari, amici e parenti. Questo rituale serve a benedire, pulire e purificare i propri cari prima di entrare nel nuovo anno laotiano. Vedere con quanta devozione e cura vengono bagnate le statue del Buddha, con quanta spiritualità viene compiuto ogni gesto, trasmette tutto il valore di questa celebrazione anche in chi osserva. Il Sangkhan Nao, il secondo giorno della festa è il “giorno del non giorno”, un giorno che non fa parte né dell'anno vecchio né di quello nuovo. I giovani vengono incoraggiati a pulire le loro case, ad andare a versare dell’acqua sugli anziani del villaggio come augurio, e infine a divertirsi e a bagnarsi loro stessi. Si crede che pulendo, le cose cattive vengano mandate via con l'anno vecchio. Gli anziani consigliano, inoltre, ai giovani di evitare di dormire il secondo giorno, perché si ritiene che così facendo non si ammalino nell'anno successivo. Il terzo giorno, il Sangkhan Kheun Pi Mai, è l'ultimo giorno della festa e segna l'inizio del nuovo anno. Gli abitanti si vestono con abiti di seta e fanno offerte al tempio. Molte famiglie organizzano cerimonie nelle loro case per dare il benvenuto al nuovo anno laotiano e per augurare agli anziani buona salute e lunga vita. È il momento per i giovani di chiedere rispettosamente agli anziani la loro benedizione e il perdono per eventuali comportamenti sbagliati dell'anno passato, ed ottenere fortuna e prosperità per l’anno appena iniziato. Nel tardo pomeriggio tutte le statue del Buddha vengono riportate al loro posto abituale. La sera i devoti si recano ai templi per ascoltare i canti dei monaci e chiedere perdono ai monaci e alle statue del Buddha, perché potrebbero averli toccati accidentalmente nei giorni precedenti (dato che né i monaci né il Buddha devono essere toccati). Una suggestiva processione a lume di candela intorno ai templi segna la conclusione dei festeggiamenti per il Capodanno. Il Pi Mai Lao è celebrato in tutto il paese, ma a Luang Prabang, l'antica capitale reale e oggi patrimonio mondiale dell'UNESCO, le celebrazioni assumono un profondo valore culturale e possono durare anche sette giorni. Qui è conservata una delle reliquie religiose più sacre del Laos, la celebre statua dorata del Buddha, nota come Phra Bang, da cui la città prende il nome. Durante le celebrazioni per il Capodanno, la statua viene riposta sotto un padiglione temporaneo, e bagnata attraverso delle chiuse scolpite a forma di leggendari serpenti d'acqua. I festeggiamenti per il nuovo anno volgono al termine quando il Phra Bang fa ritorno al museo del Palazzo Reale.